REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI
N° 31 DEL 11/08/2009
DIRETTORE RESPONSABILE MICHELE CASELLA
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UN DELITTO D'ONORE IN CALABRIA E NON SOLO
“Spesso, ascoltando le storie drammatiche di donne dei
paesi musulmani, mi capita di sentire l’eco di altre storie. Storie di donne
calabresi dell’inizio del secolo scorso, o della fine del secolo scorso, o di
oggi”. Così presenta il suo Dissonorata.
Un delitto d’onore in Calabria Saverio La Ruina, premio Ubu: attore,
regista e drammaturgo, capofila della storica compagnia Scena Verticale. Lo spettacolo è andato in scena, lo scorso 23
ottobre, a chiusura del Festival Verso Sud, in quello che è stato definito un
“teatro di chianche” nel centro storico di Corato con una scenografia
d’eccezione: l’abito dipinto per l’occasione dalla street artist di origini
argentine Hyuro.
Dissonorata è la storia di Pascalina, una storia di soprusi e umiliazioni ambientata in una società arcaica eppure attualissima, disegnata tra i luoghi profondi che si situano al confine tra Calabria e Basilicata: qui si svolge la vita della giovane donna. Una storia che ne evoca molte altre, che attinge a un sapere arcaico e a uno studio quasi etnografico della società; il racconto è portato in scena in forma di monologo nella lingua d’origine di Pascalina, nella peculiare prosodia che il dialetto porta con sé. Una musicalità coinvolgente nel tono di voce crepuscolare che caratterizza questo personaggio tutto costruito da La Ruina grazie a malinconiche reminiscenze di donne appartenute al suo vissuto familiare e non solo, una costruzione che scompare sulla scena per dar vita a una donna, modesta e spesso buffa, una ragazza qualunque, archetipo di una femminilità schiacciata da una società maschilista.
La storia di questa ragazza disonorata prima del matrimonio, incinta e per questo “condannata a rogo” – un’espressione che, in questo caso, non concede nulla all’eufemismo – prescinde dalla retorica femminista in cui facilmente sarebbe potuta cadere. Saverio la Ruina costruisce una drammaturgia del suono, qui la parola sembra recuperare il valore che le era proprio nella cultura orale, coinvolgente, assoluto e archetipico mentre il corpo dell’attore diventa un fondamentale apparato straniante, epico, che entra immediatamente a far parte dell’apparato critico dello spettatore. Una donna senza retorica, una donna qualunque è quella messa in scena da Saverio La Ruina, nata forse dai racconti di una zia o una madre. In questo tragica storia l’epilogo surreale non è casuale: in un grottesco presepe verrà alla luce un bimbo di nome Saverio e la nostra protagonista sarà condannata, ancora e per sempre, a rimanere con il viso rivolto a terra, concentrata a contare le pietre una ad una.
Si può parlare di una di trilogia ideale che unisce Dissonorata, La borto e il più recente Polvere: una riflessione sulla condizione femminile che parte da un ragionamento quasi antropologico e si evolve in una denuncia profonda, che indaga le radici di questa condizione con una personalissima e delicata lettura di un dramma sociale.
In Italia e ancor più in questo meridione dove l’applicazione della Legge 194 è costantemente minacciata dal proliferare degli obiettori di coscienza e i delitti d’onore traslocano dalla strada di quartiere all’umiliazione su piazza virtuale, Dissonorata ci parla di una donna d’altri tempi, della sua vita e della sua storia che, in fondo, è anche la nostra se è vero, per dirla con Simone De Beauvoir, che “essere donna non è un dato naturale, ma il risultato di una storia”.
A cura di Marilù Ursi