REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI
N° 31 DEL 11/08/2009
DIRETTORE RESPONSABILE MICHELE CASELLA
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SEVEN NATION ARMY DA MTV ALLO STADIO
Quando si pensa ai White Stripes emerge subito l’idea semplice e diretta della loro musica: voce, chitarra, batteria e nient’altro -- se si escludono le sporadiche incursioni al piano o all’organo di Jack White. Eppure, ripensando alla loro splendida carriera, appare inevitabile inciampare nel lavoro articolato che sta dietro la loro immagine. E mi riferisco per esempio all’ossessiva ricorrenza scenica dei colori rosso, bianco e nero dei loro vestiti o delle loro copertine su dischi e riviste; alla foggia psichedelica ed elicoidale di certe caramelle elette a simbolo della band; o, per finire, ai pettegolezzi incrementati da Jack e Meg con giocosa e voluta incertezza su un loro presunto grado di parentela.
Ma senza dubbio non sono stati solo questi elementi di facciata a conferire un’aura mitica al duo di Detroit. Ciò che li ha resi così improvvisamente popolari è stata una di quelle canzoni capaci di spaccare a metà la carriera di un gruppo cambiandone le sorti, il cui motivo chiunque ha perlomeno canticchiato se non addirittura strimpellato alla chitarra -- come magari si faceva con Come As You Are dei Nirvana qualche anno prima -- almeno una volta nella propria vita. Sto parlando, ovviamente, di Seven Nation Army, primo singolo estratto dal bellissimo Elephant (2003), la cui scoperta ricordo come una folgorazione.
Sembra impensabile, ma c’è stato un periodo in cui YouTube non esisteva. E allora bisognava aspettare fino a mezzanotte e mezza, per succhiare avidamente cogli occhi spalancati, seppur già preda del sonno, le immagini dei video che passavano a rotazione nel programma di nicchia di MTV, MTV Brand New Italia. Fu proprio in questa segreta palestra di ascolti -- dove amoreggiavo nottetempo con YYY, Kashmir, Radiohead e Verdena su tutti -- che vidi una serie di ipnotici rombi bianchi, incastrati l’uno dentro l’altro come scatole cinesi, salire dal fondo nero del televisore a rompere a tratti l’oscurità della stanza.
Un riff di chitarra banalissimo, e per questo geniale, di quelli che immediatamente si ficcano nella testa -- la cui ispirazione, secondo alcuni critici, sta in un tema della quinta sinfonia di Bruckner -- scorta le strofe fino a traboccare distorto nei ritornelli, solo strumentali, che sono tutto un vibrare di assoli furiosi e taglienti.
Riprendendo il motivo dell’affiche di Clockwork Orange di Kubrick, il video era stato partorito dalla mente visionaria del francese Alex Courtes, già noto all’epoca soprattutto in patria per alcuni video dei Cassius, Phoenix, Air e Noir Désir e che, successivamente, riuscirà a raggiungere il successo internazionale lavorando per pesci più grossi come U2, Kasabian, Franz Ferdinand e Kyle Minogue.
Insomma, per farla breve, Seven Nation Army, fanciullesca storpiatura di Salvation Army del piccolo Jack White, è un brano perfetto con un video perfetto. Non è un caso, dunque, che riuscirà a portarsi a casa importanti riconoscimenti all’MTV Music Award, all’NME Award e al Grammy Award o troverà la sesta piazza nella classifica delle 100 migliori canzoni degli anni Zero e un posto dignitoso tra le 500 migliori di sempre secondo la rivista «Rolling Stone».
Ma non solo: la canzone, riproposta da altri artisti più o meno ufficialmente, su disco o dal vivo, diventerà a tal punto popolare da reinventarsi, in ogni angolo del pianeta, in coro da stadio, accompagnando, appena tre anni dopo la sua uscita, proprio la nostra Nazionale di calcio, come ben sappiamo, alla conquista della sua quarta Coppa del Mondo.
Si parlerà dei White Stripes al Loop Festival giovedì 19 novembre
con Enzo Gentile (Giornalista de «Il Mattino», autore del Dizionario pop-rock Zanichelli
il sito: www.loopfestival.it
L'evento su Facebook
a cura di Gianfranco Costantiello