POOL MAGAZINE
REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI
N° 31 DEL 11/08/2009
DIRETTORE RESPONSABILE MICHELE CASELLA
COPYRIGHT POOL ASS.NE DI PROMOZIONE CULTURALE - C.F. 91088660724
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SUL CONCETTO STRA-VOLTO DEL FIGLIO DI DIO
VOCI DAL PETRUZZELLI
Finalmente, dopo essere stata spettatrice curiosa dal giorno del suo debutto, sono riuscita ad assistere al famigerato spettacolo di Romeo Castellucci, Sul concetto di volto nel figlio di Dio. Ho portato con me un gruppo di amici, baresi, che attratti forse più dall´incantevole location del teatro Petruzzelli, mi hanno seguita. Intervistati da una tv locale sull´importantissima questione della blasfemia e incuriositi dai rivoluzionari giunti in preghiera fuori dal teatro, sono entrati nel palchetto di quart´ordine a passi felpati, come su un red carpet. Il fascino del teatro d´opera, degli intarsi dorati, delle poltrone di velluto, dell´incanto di antichità ed eccesso ci fa sentire tutti delle piccole celebrità, almeno per una sera.
VOCI DAL PETRUZZELLI
Finalmente, dopo essere stata spettatrice curiosa dal giorno del suo debutto, sono riuscita ad assistere al famigerato spettacolo di Romeo Castellucci, Sul concetto di volto nel figlio di Dio. Ho portato con me un gruppo di amici, baresi, che attratti forse più dall´incantevole location del teatro Petruzzelli, mi hanno seguita. Intervistati da una tv locale sull´importantissima questione della blasfemia e incuriositi dai rivoluzionari giunti in preghiera fuori dal teatro, sono entrati nel palchetto di quart´ordine a passi felpati, come su un red carpet. Il fascino del teatro d´opera, degli intarsi dorati, delle poltrone di velluto, dell´incanto di antichità ed eccesso ci fa sentire tutti delle piccole celebrità, almeno per una sera.
Chi l´avrebbe mai detto - l´ho letto a caratteri cubitali sui loro volti - che quel palco solcato da soprani e tenori d´eccezione, sarebbe diventato una stanza bianca, asettica, sobria, con qualche schizzo marrone qua e là?
I due attori, il padre e il figlio, il vecchio e il giovane, l´uomo nudo e l´uomo vestito di tutto punto, sono simboli di un´umanità infelice, che è quella nella quale tutti, prima o poi, ci riconosciamo. L´umanizzazione del teatro sontuoso, attraverso la materialità delle immagini proposte dal regista, non ha nulla di blasfemo, e questo è a dir poco scontato. Ma non per tutti. Esiste qualcuno che reputa irrispettoso nei confronti della propria divinità macchiarne il volto illibato, quello dipinto da Antonello da Messina.
Il potere evocatorio dell´immagine è stravolgente: Gesù per i credenti è bello, chiaro di carnagione, la pelle deve essere bianca e il baffetto sempre ordinato a contornare due labbra carnose, ma non troppo.
Di fronte alla paura del dolore, il credente intransigente si appella alle preghiere, qualcuno si vota al santo meno inflazionato, altri ancora omaggiano Dio con fioretti di varietà.
Di fronte al dolore in atto, spesso, questi ultimi accettano con rassegnazione l´arbitrio divino, e soffrono un po´ meno di altri, sicuri che venga fatta la sua volontà.
Quando tutto va bene, invece, la maggior parte ringrazia il Supremo, altri se ne dimenticano.
Ma il globo, per fortuna, è popolato da esseri umani di tutti i tipi e, per fortuna, esiste in Europa la libertà d´espressione, seppure minacciata ufficiosamente. Su questo e sulle polemiche nate intorno allo spettacolo, tanto da fargli occupare il primo posto nella top ten delle produzioni degli ultimi anni, non mi dilungherò.
Gli aspetti su cui mi interessa riflettere sono due: la messa in scena dello spettacolo e il valore morale dell´opera.
Il primo elemento comprende, evidentemente, lo studio della regia, la disposizione degli oggetti sul palcoscenico e la recitazione degli attori. Bravissimo l´attore anziano, con un corpo bellissimo, immobile, a intermittenza mosso dal tremore negli arti, singulti di pianto e sussurri di disperazione. Il figlio, il giovane con la camicia in pendant con lo spazio, mi ha commosso: impeccabile nell´attesa e paziente col corpo. La riproduzione delle stesse azioni ha creato nella mia mente un loop dell´immagine che si è esaurita solo col grido, con l´ammissione del suo dolore.
Il teatro entra nell´animo di ciascun spettatore e gli muove i sentimenti, i pensieri, fino a quando, spente le luci della sala, va via e lascia tutto capovolto, i pensieri fanno le capriole e le emozioni non si controllano, rivelano quello che siamo senza indugi, e poi, spesso, ci vuole del tempo perché le cose ritornino al proprio posto. A volte, capita che tutto venga stravolto nello spettatore e che nulla torni più come prima, per far rinascere un nuovo ordine di pensiero e una nuova armonia. Questo determina il vero successo di uno spettacolo.
Ma tornando alla commozione, il ruolo del figlio è quello in cui più facilmente si può riconoscere una giovane donna della mia età. Nei suoi panni mi sono ritrovata e ci ho letto tutta l´impotenza dell´uomo di fronte a Dio - dando per scontato, miei cari credenti incalliti, che Dio ci sia. Questa premessa, cattolicissima, è stata del tutto sottovalutata.
Il credente, quello meno intransigente, quello che crede ma pensa - ahilui - di non avere in mano la verità assoluta, di fronte alla paura del dolore prega, spesso prima di andare a dormire, lo fa a modo suo e non ama i fioretti.
Di fronte al dolore in atto, spesso, non riesce ad accettarlo con rassegnazione, si tormenta con i dubbi di sempre e getta, come piccole bombe su una parete illustrata, tutti i suoi interrogativi su Dio. Si rivolge a lui e gli chiede quello che anche Gesù pare avergli urlato: perché proprio io?
Cosa c´è di più umano del dolore, di più vero del ciclo fisiologico che ci permette di espellere ciò che ingoiamo? Cosa c´è di più naturale del rapporto tra un padre e un figlio, della riconoscenza reciproca, dell´inversione agghiacciante dei ruoli? Cosa c´è di più divino dell´amore di un figlio per il proprio papà malato: Dio non risiede forse nei panni sporchi, nelle stampelle, nelle gocce, nel secchio d´acqua color fango, nelle lacrime e nelle urla di disperazione? Dio, probabilmente, per chi ci crede, è in scena insieme ai due attori, e sullo sfondo c´è stampata solo un´immagine, popolarmente riconosciuta, di quello che è suo figlio, il suo corpo sulla Terra.
Il terrore che cova sotto l´amore è il più potente al mondo perché minaccia la perdita di chi amiamo di più, perché rivela l´impotenza dell´uomo, l´impotenza del Padre e del Figlio.
Fare e disfare, fare e disfare non è forse l´azione che compiamo più volte nell´arco della nostra vita? Il giovane lava il vecchio e, non appena lo ha ripulito, il vecchio ricomincia, sporcando il suo lavoro, e lui è costretto a rifare, finché l´altro non disfa di nuovo tutto e il ciclo ricomincia.
L´amore che si sprigiona da tanta sofferenza è indicibile: per qualcuno è amore umano, per qualcun´altro è amore divino, per altri ancora è amore blasfemo.
Quale concetto stravolto del figlio di Dio è possibile avere? Gesù non è forse nelle mani del figlio che pulisce gli escrementi del padre?
Sì, lo è, perché se c´è, questo Dio non può che farsi riconoscere su quelle falangi, su quelle dita, su quei palmi sporchi.
Potrebbe essere l´unica prova della sua esistenza: la presenza di Cristo nel dolore, sotto forma di amore incondizionato, che non ha forme visibili.
La messa in scena è ben riuscita, anche se un teatro più raccolto sarebbe stato il luogo ideale. Le parole degli attori, dai palchetti, si sentivano appena, a tratti ritornavano indietro come voci registrate, il suono non era quasi mai limpido durante i 60 minuti di spettacolo.
La presenza della musica in scena ha scandito l´azione e ripreso i ritmi dello spettacolo quando stavano per scivolare e appiattire il tempo della rappresentazione: le melodie acute da catechesi cadenzavano i pensieri dei cattolici intransigenti, tipici di quella Chiesa che sembra fare indietreggiare più che accogliere. L´attrito finale, che ha riprodotto forse il suono di un defibrillatore, in concomitanza con un bagliore di luce accecante, ha raccontato l´inizio di una nuova vita, di una resurrezione, fuori dal teatro, tra le strade della città.
A metà spettacolo, d´emblée, arriva un bambino con zaino in spalla. L´atmosfera sacrale della prima scena viene interrotta dall´irruzione di una modernità giornaliera, dalle scarpe da ginnastica del bambino, seguito da un piccola ciurma che però, al posto dei libri, ha delle pietre o delle bombe, lanciate contro il volto dipinto da Antonello da Messina.
Oggi, tra i miei amici, c´è chi pensa che quei sassi siano tutte le bestemmie dell´uomo, per altri il lancio è stato un atto blasfemo: qualcuno, invece, crede che siano lacrime che fanno rumore.
A cura di Giada Russo
A cura di Giada Russo