REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI
N° 31 DEL 11/08/2009
DIRETTORE RESPONSABILE MICHELE CASELLA
COPYRIGHT POOL ASS.NE DI PROMOZIONE CULTURALE - C.F. 91088660724
BIRDMAN E LA DITTATURA DELLA TELECAMERA
Sullo specchio del camerino maleodorante di Riggan Thomson, attore in declino, che guarda Robert Downey jr in tv e lo disprezza per il suo ruolo in Iron Man, compare, marginale ma ben leggibile, un foglietto con la scritta: "A thing is a thing, not what is said of that thing" ('Una cosa è una cosa, non quel che se ne dice').
Ma una delle tematiche di questo meraviglioso, fondamentale film è proprio l´inapplicabilità del motto: non c'è ontologia che regga, ciò che non è comunicato e commentato non esiste.
"Vorrei valere in senso intrinseco", si legge nell'Ombelico della luna di Carlos Fuentes, conterraneo del regista Iñárritu, ma l'aspirazione all'autenticità, all'esistenza di un valore che prescinda da ogni riconoscimento è destinata alla frustrazione costante e, per dirla con Mike Shiner, il personaggio interpretato da Edward Norton, «La fama è la cugina zoccola del prestigio».
Una cosa, quindi, non è affatto una cosa, ma quello che i critici ne dicono e soprattutto quello che ne indica il contatore delle condivisioni di YouTube.
Non si può sfuggire alla dittatura della telecamera: quella che segue Keaton nelle scene iniziali, all'altezza della schiena, come se lo braccasse, quella dei cellulari degli spettatori, che Norton invita a vivere e non a filmare (e Riggan rimpiange di aver realizzato il filmino della nascita di sua figlia Sam, perché così facendo non l'ha vista). Non si può sfuggire all'interpretazione, perché anche quando sulla scena viene rappresentata la vita, con la variabile impazzita Norton e con la progressiva mutazione di Keaton, anche allora questa viene sminuzzata nella visione molteplice degli spettatori, e diventa, anch'essa, un´etichetta: «Super realismo». È così che la critica del «New York Times» incasella la performance di Riggan, il (tentato) suicidio sul palco, garantendo la sua benedizione solo in virtù dell'estremità del gesto, non premiando la recitazione né l'adattamento di Carver, ma la confusione fra i piani, fra la biografia e la narrazione.
«Super realismo» è la perfetta sintesi della zona grigia che i reality, le fiction e la loro prosecuzione sui tabloid hanno creato, esteso, rafforzato. Noi spettatori siamo immersi in un flusso di immagini che giocano -- ormai forse neanche più consapevolmente -- con l´ambiguità fra vero e narrato, senza che neanche importi più tentare di definire un confine. L'ontologia degli uomini è nella loro comunicabilità, nelle porzioni della loro vita riproducibili migliaia di volte su YouTube. Ogni cosa non è altro se non quello che se ne dice, e Birdman lo rimarca in un gioco di specchi continuo, in cui la letteratura, il teatro, il cinema, il giornalismo e i social sono tutti rappresentati e in cui ci sono riproposti in una ulteriore narrazione replicabile, vertiginosa, dolorosa, grandiosa.
A cura di Carlotta Susca