REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI
N° 31 DEL 11/08/2009
DIRETTORE RESPONSABILE MICHELE CASELLA
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NUOVE TECNOLOGIE E VECCHIA EUROPA NEL ROMANZO DELLA PULITZER 2011
In che modo le nuove tecnologie influenzano la nostra immaginazione? La deprivazione sensoriale può incrementare una atrofizzata capacità di creare mondi? Su diversi livelli, è questo il fulcro dell'indagine di Jennifer Egan nel suo romanzo del 2006 (quest´anno tradotto da minimum fax), La fortezza, e tutti i livelli sono contenuti nel termine inglese del titolo originale (The Keep), che definisce sia il castello che la deprivazione della libertà.
Keep come ´fortezza', per l'appunto, ma anche come ´custodia': il castello e la prigione sono i due luoghi principali della narrazione, quelli in cui si svolgono le due storie, parallele ma allo stesso tempo l'una contenuta nell'altra, eppure entrambe specchio e luogo in cui le vicende mutualmente si rilanciano.
Nel castello si svolge quello che sembrerebbe il plot
principale; nella prigione quella prima narrazione viene scritta, da Ray, che
frequenta un corso di scrittura creativa. Entrambi i luoghi si configurano come
area di deprivazione: nel castello Danny non può comunicare con nessuno, e il
suo cellulare è chiuso a tutte le notizie provenienti da New York; nella
prigione Ray è in detenzione per aver commesso un omicidio per il quale non
sembra aver voglia di discolparsi.
Eppure il testo appare immaturo, manieristico: l'artificio metanarrativo su due livelli
è sintomo dell'incapacità di trattare una tematica senza ricorrere agli stilemi
più banali del postmoderno. Ray scrive la storia di Danny, ma le due vicende cedono
il passo a quella di Holly, l'insegnante del corso di scrittura creativa che si
tiene all'interno del carcere in cui è rinchiuso Ray. Il romanzo si conclude
quindi con la donna alla ricerca di un nuovo inizio, in Europa, sulle tracce
della storia inventata dal suo detenuto preferito.
Le dialettiche nuove tecnologie-capacità immaginativa e
Vecchia Europa-nuovo mondo sono subordinate alla tecnica: non si riesce a leggere Jennifer Egan senza ricordare costantemente che
qualcuno ha scritto il testo che stiamo leggendo. Il che, iniziato nella
contemporaneità da John Barth, Robert Coover, Donald Barthelme e ripreso da David Foster Wallace, fra gli altri, ha senso pieno solo per scardinare un
meccanismo e per veicolare il senso stesso dello scardinamento. Ripetuto in
modo stilisticamente impeccabile ma manieristico è invece segno di bravura,
non di grandezza.
Jennifer Egan ha vinto nel 2011 il Pulitzer per la narrativa
con il romanzo Il tempo è un bastardo
(A Visit From the Goon Squad),
caratterizzato dall'inserimento di un capitolo scritto in slide di PowerPoint e
uno, il nono, in perfetto stile Wallace, con note a piè di pagina e parentesi
autoironiche.
L'interesse per le nuove tecnologie è evidente anche qui, in maniera più meditata (il finale è lievemente distopico), e nel 2013 è stato pubblicato per minimum fax Scatola nera, un romanzo interamente divulgato su Twitter, in porzioni non più lunghe di 140 caratteri.
Le tematiche (attuali, attualissime) sono costanti; con Guardami (Look at me, 2001) veniva esplorato un altro
aspetto della società contemporanea, strettamente connesso alle nuove
tecnologie e all'epoca del selfie: l'insieme di visione, rispecchiamento,
miraggio (che trasforma un terrorista nel perfetto cittadino US). L'indagine di
Jennifer Egan era già evidente dunque nella Fortezza,
che è senza dubbio un romanzo ben
scritto e ben costruito, ma che non eccelle né dal punto di vista
stilistico né da quello contenutistico, e non aggiunge nulla al dibattito contemporaneo. A differenza del Cerchio di Dave Eggers, per esempio.
A cura
di Carlotta Susca