REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI
N° 31 DEL 11/08/2009
DIRETTORE RESPONSABILE MICHELE CASELLA
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INTERVISTA A GIORDANO MEACCI
Inizia il 19 gennaio 2017 a Bari il ciclo di incontri “Le relazioni meravigliose”: quattro appuntamenti con scrittori italiani che raccontano a teatro le loro predilezioni letterarie. La rassegna è curata da Nicola Lagioia (Premio Strega nel 2015 con La ferocia, Einaudi) e si tiene al Teatro Kismet OperA: il primo appuntamento è con Giordano Meacci, che parlerà del neo Premio Nobel per la letteratura Bob Dylan; il 24 febbraio Valeria Parrella terrà un incontro dal titolo “Un amore, una relazione: Dino Buzzati, Carlo Cassola”; il 10 marzo Elena Stancanelli si dedicherà alla biografia parlando di Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar, Preghiera per Cernobyl di Svetlana Aleksievic e Limonov di Emmanuel Carrère. L’ultimo appuntamento, il 20 aprile, vedrà protagonista lo stesso Lagioia, che parlerà di Roberto Bolaño.
Intervista al finalista del Premio Strega Giordano Meacci al Festival Salerno Letteratura 2016 from FUIS on Vimeo.
Pool Magazine intervista i protagonisti delle “Relazioni meravigliose” a partire da Giordano Meacci (Roma, 1971), autore di Fuori i secondi (Rizzoli 2002), della raccolta Tutto quello che posso (minimum fax 2005) e del reportage Improvviso il Novecento. Pasolini professore (minimum fax 2015). Un suo racconto è incluso nell’antologia La qualità dell’aria (minimum fax, ripubblicata nel 2015). Il suo primo romanzo, Il Cinghiale che uccise Liberty Valance (minimum fax 2016), è stato finalista al Premio Strega. Con Claudio Caligari e Francesca Serafini ha scritto Non essere cattivo (2015) di Claudio Caligari.
La lettura impone la solitudine e, al suo opposto, l’eventismo letterario si è
rivelato spesso sterile, soprattutto nella forma della presentazione frontale.
Quale valore assume, invece, raccontare i propri “totem letterari”, comunicare
ad altre persone la propria passione per determinate opere?
In ogni cosa – almeno: ne sono convinto –
ha sempre ragione Pavese quando dice che “non importa quello che si fa, ma
come”. M’è capitato spesso di vedere alcune presentazioni che mi sono rimaste addosso; e che in qualche modo hanno
arricchito la mia vita futura di
lettore. Detto questo: penso che confrontarsi con i propri maestri – i propri totem,
appunto – cercando di trattarli con il rispetto estetico che si deve al piacere
che ci hanno procurato; e però anche con quel salutare, irriguardoso, onesto e
cialtronesco senso di appropriazione e
riscrittura privata: ecco. Penso che
questo sia sempre un ottimo modo per mantenere vive le opere che abbiamo amato.
(Al tempo stesso sottolineandone la grandezza: ché le opere d’arte non hanno
paura di assalti e riscritture: anzi).
In qualità di lettore e scrittore, quale “dieta” fra
classici e opere contemporanee ritieni che sarebbe consigliabile? Meglio seguire un percorso o essere onnivori?
Tutto. Il nostro còmpito di lettori
appassionati – il nostro còmpito di esseri umani – è quello di leggere tutto. Se poi non ci riusciamo:
be’. Non prendiàmocela con la letteratura, ma con la biologia.
Nel periodo della sua massima diffusione, il romanzo era considerato un
intrattenimento futile, anche pericoloso: credi che sia efficace la promozione
della lettura o diventare lettori è un processo che non può essere indotto?
In questi casi vale sempre l’intuizione,
geniale, di Daniel Pennac. «Il verbo leggere non sopporta l’imperativo,
avversione che condivide con alcuni altri verbi: il verbo “amare”... il verbo
“sognare”...»
Se si èvita l’inutilità dell’imperativo, va
pur detto che le storie d’amore sono persuasive,
quando sono ben raccontate. Sicché: si può provare a spiegare perché ci siamo
innamorati di Sotto il vulcano o di Cent’anni di solitudine. Perché ci
commuoviamo con Il sogno di Maria o
ridiamo con Hollywood Party. Il resto
– non è l’universo che è cattivo: è che siamo noi a disegnarlo così – è libero
arbitrio.
Quali strategie pensi che potrebbero essere efficaci per avvicinare i non
lettori alla lettura? Credi che ci siano differenze fra le modalità di
fruizione delle storie (cartaceo, digitale, ma anche film, serie TV, graphic
novel…)?
Contro il nazismo, Churchill promise ai
suoi concittadini “lacrime, sudore e sangue”. E – per il bene dell’umanità futura – gli Alleati riuscirono a
sconfiggere l’Asse che prometteva posti al sole e conquiste facili. Ecco.
Bisognerebbe sempre avere il coraggio di ricordare la bellezza di certa fatica. Per arrivare a leggere
bene un romanzo di James Joyce, o di Virginia Woolf, o di Thomas Pynchon: c’è
bisogno di una certa fatica
preliminare fatta di tanti romanzi letti, storie ascoltate, vita vissuta,
grammatiche imparate. Ma ne vale la pena. La Bellezza ne vale sempre la pena.
Poi. Le differenze di “fruizione di una
storia” dipendono naturalmente dal mezzo
e dal tempo. Ma questo da sempre: se
pensiamo al tempo che mi richiede
l’ascolto del Testamento di Tito, o
la visione di Quarto potere al
cinema; o la lettura di Infinite Jest
o dell’Infinito. Se paragoniamo gli
anni di diffusione di Breaking Bad con
l’attesa di Dickens e di Dumas a puntate. O l’ascolto reiterato delle favole
davanti al caminetto della civiltà contadina più o meno recente. Insomma. Alla fine posso solo recitare suggestioni e citare mastro King. “Non è la storia; è chi la racconta”.
Bob Dylan, Buzzati, Cassola, Yourcenar, Carrère, Bolaño; cantautorato,
surrealismo, biografia, “infrarealismo”: quanto è utile etichettare le correnti
letterarie, i generi e definire i confini della letteratura?
Tanto tempo fa (in una galassia critica
lontana lontana: anche per dire come le percezioni mutano nel tempo) chiesero a
Roberto Benigni cosa ne pensasse di essere considerato il Woody Allen italiano.
Lui rispose che gli faceva piacere. Ma che avrebbe preferito essere considerato
l’Anna Magnani svizzera.
Per dire che le categorie, in arte, sono
utili solo quando sono immediatamente
descrittive; e quando – se ben costruite – possono contribuire alla creazione
di un’immagine, o di un’interpretazione che però – attenzione! – soprattutto se
l’artista è un grande artista: sono
destinate a essere vanificate dal
tempo. Questo: per quanto riguarda l’atteggiamento di chi scrive nei confronti
delle percezioni esterne che lo
accompagnano nel suo lavoro.
Per quanto riguarda invece la ripartizione
canonica in generi, va detto – ma è di un’evidenza consolidata – che nell’ultimo secolo (in forme e modi
fortunatamente cangianti) abbiamo
vissuto periodi intensi di contaminazioni, sovrapposizioni, incroci e incastri
tra i generi (appunto) che – sempre fortunatamente
– hanno rinnovato le forme di scritture
con cui ci si deve confrontare.
Per chiudere con un esempio in versi. Nessun
lettore in buona fede – gusti personali a parte: il vero timone per guidarsi nel mare delle storie, da
sempre – può dare gradi differenti di legittimità estetica a “We sit here
stranded, though we’re all doin’ our best to deny it” di Visions of Johanna e a “I hear / The rattle of the bones, and
chuckle spread from ear to ear” in The
Waste Land. Di là dal fatto che nel primo caso la voce di Dylan si fonde, meravigliosamente (e non a caso uso un
avverbio da poesia delle origini), con la musica e il testo che sta cantando.
a cura di Carlotta Susca
Ingresso 5 euro; abbonamento 4 incontri a 10 euro.
Info 080 5797667.