REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI
N° 31 DEL 11/08/2009
DIRETTORE RESPONSABILE MICHELE CASELLA
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LE INFLUENZE DESTRUTTURANTI DEL DISCO DEI RADIOHEAD
Alienante, malinconico, paranoico: Ok Computer è uno dei dischi perfetti della storia della musica pop.
È il 1997, un anno irripetibile per la musica inglese: dietro le vetrine dei negozi di dischi pullulano le copertine dei nuovi album degli Oasis, dei Blur, dei Verve, degli Spiritualized. E, naturalmente, dei Radiohead che, dopo i primi frutti forse ancora troppo acerbi, seppur in parte clamorosi (Pablo Honey e The Bends), realizzano il loro indiscusso e impareggiabile capolavoro.
Undici canzoni di chitarre tremanti e lunari, sostenute da un’elettronica mai sopra le righe e cullate dalla voce dolente di Thom Yorke, incanto e spleen di fine secolo.
È facile scivolare tra i solchi incandescenti di questo disco e ritrovarsi preda di incursioni allucinanti che tagliano trasversalmente i fasti di certa psichedelia 60s-70s (che va dalle traiettorie circolari e ossessive dei Can alle scorribande epiche e dilatatissime à la Morricone, fino a certe profondità atmosferiche floydiane o a certi svolazzi inquieti che ricordano da vicino i King Crimson) mentre in superficie si veleggia leggerissimi e malinconici, spiegati contro un vento autunnale che sa di pioggia e brit-pop e che lava via ogni increspatura grunge degli inizi.
Sembra chiaro che a diciott’anni dalla sua uscita, e in attesa dell’ultima fatica della band, prevista per il prossimo anno, Ok Computer appaia come un disco spartiacque all’interno dell’eclettico e folgorante percorso del quintetto di Oxford. Infatti, è qui che cominciano ad affiorare chiaramente quelle suggestioni elettroniche e quella destrutturazione della forma canzone che domineranno i dischi successivi da partire da Kid A fino ad arrivare almeno a Hail to Thief.
Per certi versi appare difficile definire esattamente intorno a quale centro graviti Ok Computer, eppure pare che la spettrale Fitter happier riesca a distinguersi provocatoriamente a metà disco (inglobando forse il senso ultimo dell’intera opera) come manifesto di disagio nei confronti di quella perfettibilità umana tanto agognata dalla società capitalistica.
Allora l’attualità di Ok Computer (sia contenutistica che formale) appare percepibile ancora oggi, tant’è che il suo lascito continua a essere enorme e indiscutibile: per i Coldplay e i Muse è stato il faro che ha illuminato i primi passi alla scalata delle classifiche mondiali; i Broken Social Scene, probabilmente la band più sottovalutata degli anni Zero, ci hanno costruito un sophomore coi fiocchi (You forgot it in people); e da ultimo, i misconosciuti The Amazing hanno tirato fuori, proprio quest’anno, come a chiudere un cerchio di devozione oramai fattosi maggiorenne, un disco che sa già di classico.
Si parlerà dei Radiohead al Loop Festival giovedì 5 novembre con Rossano Lo Mele (direttore di «Rumore»)
il sito: www.loopfestival.it
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A cura di Gianfranco Costantiello