REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI BARI
N° 31 DEL 11/08/2009
DIRETTORE RESPONSABILE MICHELE CASELLA
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IL NUOVO FILM DI NANNI MORETTI E IL RAPPORTO FRA OPERA E AUTORE
“Voglio vedere l’attore accanto al personaggio”. Lo dice senza posa Margherita, ai suoi attori. È una regista, gira un film sulla crisi. Parla di precariato, di fabbriche che chiudono. Quando non gira fa fronte al dolore, quello della perdita della madre. “Voglio vedere l’attore accanto al personaggio” e ciò che si dichiara è un parallelo, l’assenza di confine tra realtà e simulazione. Margherita è Margherita Buy, nel film Mia madre di Nanni Moretti, Nanni Moretti è Giovanni, fratello di Margherita.
Un film sulla perdita di una madre, appiglio dell’identità. Certezze,
riferimenti sono legati a un cordone e denotano l’incapacità di gestire i
travagli interiori. I personaggi si presentano storditi, la confusione parte
dalla vita privata per esprimersi in una essenzialità di spirito, presente in
Giovanni più degli altri. Cosceneggiato con Francesco Piccolo e Valia
Santellamuove, l’opera muove dall’esperienza personale del regista, carica
com’è di parallelismi tra sceneggiatura e vita reale. Moretti rivive qui il
proprio vissuto, scegliendo un alter ego femminile – Margherita Buy – per
marcare la percezione di fragilità e dare maggiore slancio agli accadimenti
interiori. Come in La stanza del figlio,
Moretti interpreta Giovanni. È ora un ingegnere che lascia il lavoro e resta in
disparte con aria sommessa. Così il suo personaggio, centrale nella quasi totalità
delle opere, appare decostruito: non è
più dominante come in La messa è finita,
quando anche si confronta con la morte della madre. È accanto.
La finzione del set diretta da Margherita e la realtà drammatica in cui
si trova a vivere sono al tempo stesso unione e dicotomia, mentre veicolano il senso
cinematografico di Mia madre. Margherita
è un personaggio complesso e contraddittorio, rifugge la profondità di legami, incapace
di accudire la madre. La figlia è alla prese con il latino e Margherita se ne
occupa, ma intanto in lei emergono aspettative elevate da un lato e sentimenti repressi
dall’altro.
Una delle corrispondenze del film è l’affinità tra personaggio e
persona. Vi è un senso di inadeguatezza
che sembra connotare sia Margherita nella finzione, sia Nanni Moretti nella
vita reale, come da lui stesso rivelato nelle ripetute presentazioni
dell’opera. È proprio in questo sentirsi inadatti che si colloca l’espressione “Voglio
vedere l’attore accanto al personaggio”, ripetuta allo stremo da Margherita sul
set. Lo stesso avviene per la perdita della madre, riflesso della perdita reale
avvenuta durante le riprese di Habemus
Papam. Nella realtà la madre è stata
un’insegnante di latino, così come nella finzione lo è il ruolo di Giulia
Lazzarini.
Ma se l’immediato livello interpretativo del film è una riflessione sul
distacco dalle figure genitoriali, poi prendono forma altre simmetrie e
corrispondenze. Alla base di Mia madre,
infatti, c’è il cinema. Qui il cinema è luogo fisico e Moretti, simulando tecniche
di ripresa nel caos, inquadrature e battute dimenticate dagli attori (accade a John Turturro che nel film è Barry
Huggins, il proprietario italoamericano della fabbrica) sottolinea la decadenza
dei comportamenti e della loro rappresentazione sul set. Il regista coglie la
realtà di una fabbrica occupata e la rappresenta come immagine di una
condizione sociale diffusa.
Il film, tuttavia,
termina con la presenza di un domani. Nell’ultima sequenza Margherita rivede la
madre viva e anche quando gli ex alunni le parlano di lei con affetto e
ammirazione, comprende che forse non l’aveva mai conosciuta.
A cura di Alessandra Adamantino